Mentre aspettavo Niccolò ho comprato Sono io che me ne vado di Violetta Bellocchio. La prima volta l’ho visto alla Martelli. Mi ha colpito per la copertina cattiva. L’ho sfogliato e ho pensato a quanto belle fossero le edizioni della collana Strade Blu di Mondadori. L’ho rimesso al suo posto. Poi è tornato alla mia attenzione per l’idea bizzarra dell’autrice di promuoverlo promettendo in cambio momenti di vita vissuta con lei. Le condizioni sono le seguenti e vi giuro che non è uno scherzo.
– Se ne comprate una copia lei vi offrirà un cornetto e un cappuccino al bar.
– Se di copie ne acquistate tre, lei vi fa compagnia in un contesto sociale: ad una festa, al cinema, a passeggio, a teatro, allo zoo.
– Acquistatene dalle cinque alle dieci copie e lei vi porterà a pranzo dai genitori, vi farà vedere le foto di famiglia e il tutto si concluderà con lo scambio dei numeri di cellulare.
– Se toccate le undici copie sarete protagonisti di un tour in sua compagnia per i luoghi che hanno ispirato il romanzo, vi offrirà arrosticini sotto le stelle ed è previsto anche un pernottamento. Vitto e alloggio ovviamente a carico della signorina Bellocchio.
– Oltre le venti copie vale tutto. Lei non scende nei dettagli per una questione di sede e pudore, ma pare che chi porterà la prova provata dell’acquisto non avrà di che lamentarsi.
I servizi li trovate meglio specificati nel suo blog. Ho letto una trentina di pagine, prima sotto l’ombra in piedi, appoggiato al muro della Edison, poi sotto il sole seduto su una panchina in Piazza della Repubblica, poi di nuovo sotto l’ombra in piedi. Una panchina all’ombra era così architettonicamente difficile immaginarla? Nell’attesa ho conosciuto un ragazzo del Senegal che potrei dirvi si chiamasse Abdullah, ma mentirei. Non ricordo il suo nome nonostante me l’abbia detto. Mi ha detto che lui di mestiere fa il venditore di libri e lì mi è venuto da rispondergli qualcosa del tipo: “Beato te!” poi l’ho guardato con quella manciata di libri di cattiva qualità fra le mani, i denti gialli e la tunica vinaccio e non l’ho invidiato per niente. Mi ha chiesto di dare un’occhiata, l’ho fatto. Si trattava di pubblicazioni a senso unico. Africa, problemi, vite straordinarie e bambini che non hanno da mangiare e cercano fra la terra nutrimento.
“Sei di Firenze tu?” Ho pensato che raccontargli tutta la mia storia sarebbe stato lungo, così gli ho detto di sì. “Studi?” “Ci provo, Informatica!” “Ah, informatica!” ha esclamato. “Io sono dovuto scappare dal Senegal.”
Non ho capito se il suo fosse un tono sorpreso oppure rassegnato. Mi ha detto che lui sta sempre sotto i portici a fare concorrenza alla Edison e ha sorriso. Gli ho detto che la prossima volta, invece che comprarlo dentro, un libro, lo prendo da lui.
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